© Notizie Internazionali

notizie internazionali

f2042bb640f17848dfbabb6a8f3a46da537a3b35

Terremoti e Vulcani in Italia dei Campi Flegrei
dalla tv svizzera:

«Napoli sarà sepolta sotto 30 metri di cenere»

Pozzuoli, 17.04.2024 corriere - In rete un allarmante documentario sugli effetti di una eruzione nell'area flegrea. Per gli scienziati intervistati sarà catastrofica per tutto il Mezzogiorno
Per Rsi, la tv pubblica svizzera di lingua italiana, non abbiamo scampo: un’eruzione ai Campi Flegrei distruggerà anche Napoli, coprendola sotto trenta metri (sic!) di materiale vulcanico; causerà problemi gravi in tutto il Meridione d’Italia e avrà importanti ripercussioni su buona parte del continente europeo. Da alcuni giorni circola su YouTube un documentario del canale televisivo elvetico dal titolo quanto mai esplicito: «Napoli, il supervulcano che minaccia l’Europa». Un reportage di 42 minuti e 24 secondi da far tremare i polsi a chi lo guarda e pubblicato il 4 aprile scorso. A partire dalle ricostruzioni animate che mostrano piazza del Plebiscito raggiunta e sommersa dalle nubi ardenti, la Chiesa di San Francesco da Paola distrutta con fiamme che escono dai finestroni, le due statue equestri abbattute; infine una visione d’insieme con una Napoli completamente sommersa da una coltre di pesante cenere e sullo sfondo, risparmiata dalla catastrofe, la sola collina di San Martino, un paesaggio post-atomico.
Gli scenari di distruzione
Ma non sono solo le immagini di ricostruzioni (più o meno fantasiose) a turbare gli spettatori. A lasciare interdetti e preoccupati sono alcune delle allarmanti dichiarazioni degli studiosi intervistati: si parla di scenari di distruzione pressoché totale, agli antipodi rispetto al tipo di eruzione ipotizzato dagli scienziati che hanno lavorato per la Protezione civile nazionale all’elaborazione del Piano di evacuazione. Quest’ultimo è basato sulla ipotesi probabilistica di un tipo di eruzione di media entità, definita subpliniana, (eruzioni esplosive con fenomenologie simili a quelle delle eruzioni pliniane, ma di energia inferiore e conseguente ridotta dispersione areale dei prodotti eruttati).
«Cataclisma inevitabile»
Eppure durante il programma si possono ascoltare frasi come questa: «Su Napoli incombe una minaccia, un pericolo che spaventa l’Europa, alcuni scienziati ritengono che i Campi Flegrei siano responsabili della scomparsa dell’uomo di Neanderthal, 40 mila anni dopo ci sono segnali di risveglio, la catastrofe potrebbe avvenire in qualsiasi momento». E ancora: «Il vulcano dei Campi Flegrei contiene ormai così tanta lava e tanta pressione che il cataclisma è inevitabile e inizia alla Solfatara». Il vulcanologo Patrick Allard dice: «Vedremmo colonne eruttive che si innalzano per diverse decine di chilometri, almeno fino alla stratosfera. La cenere cade su Napoli, anche più lontano, ci sono delle vittime e grande distruzione».
La studiosa di Cambridge
E Amy Donovan, professoressa di Geografia all’Università di Cambridge, aggiunge: «A quel punto la città dovrebbe essere deserta perché l’aria sarebbe satura di cenere, materiale piroclastico e residui vulcanici di ogni tipo». E ancora, la voce della giornalista fuori campo commenta: «Napoli scompare sotto trenta metri di materiale vulcanico». Poi, quasi a voler giustificare un simile, devastante scenario: «L’immagine è sconcertante ma scientificamente possibile». Segue il frame di animazione che mostra la città ormai coperta da una coltre di cenere grigio-rossastra con la sola eccezione della collina di San Martino.
Il vulcanologo di Perugia
Ma forse l’intervento più raggelante è quello di Diego Perugini, direttore del dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia. Lo scienziato ricorda l’esistenza dei due serbatoi di magma sotto i Campi Flegrei: il più superficiale tra i 4 e i 5 km e il più profondo, quello più grande, tra i 10 e i 15 km. In genere prima delle eruzioni i due magmi si «miscelano». Perugini spiega che il suo team sta lavorando a un importante quesito: quanto tempo avranno le persone prima dell’eruzione vera e propria? Risposta: «Studiando il materiale eruttato in passato andiamo a leggere che almeno due magmi si sono incontrati all’interno della crosta terrestre e hanno iniziato a mescolarsi. Abbiamo ricreato il processo in laboratorio e per quello che possiamo stimare, dall’inizio del mescolamento dei magmi fino all’eruzione i tempi sono m0lto brevi, dell’ordine di decine di minuti». La voce fuori campo conclude: «Trenta minuti sono pochi per evacuare una città». E sembra vi sia poco altro da aggiungere.
ee12587ddc977671db74924775ca4f44fbd3b55b.jpeg
d87b05c8a7a4f015072752e2114224d8014fcd01
8ed28343adf291ed43a0ce3c49438d9986ab928e
0fde04b9429b2cc6b23a8d41a28c7cd84d2a466f

Terremoto Turchia, previsione del sismologo olandese tre giorni prima: «Ci sarà un sisma di magnitudo 7.5»

Paesi Bassi, 09.02.2023 ilgazzettino - Una previsione datata 3 febbraio, quindi poche ore prima del terribile terribile terremoto che ha devastato Turchia e Siria. Il tweet è di Frank Hoogerbeets, sismologo olandese che lavora presso il Solar System Geometry Survey (SSGS) nei Paesi Bassi. E fa rabbrividire: «Prima o poi ci sarà un terremoto di magnitudo 7.5 in questa regione: Turchia centro-meridionale, Giordania, Siria, Libano». Nel post, che ovviamente sui social è diventato virale in poche ore, anche una mappa della zona specifica nella quale sarebbe avvenuto il sisma di magnitudo 7.8 qualche ora dopo.
«Come ho affermato in precedenza, prima o poi questo sarebbe accaduto, simile all'anno 115 e 526. Questi terremoti sono sempre preceduti da una geometria planetaria critica, come abbiamo avuto il 4-5 febbraio». Poi il sismologo ha spiegato ancora: «I grandi terremoti nella Turchia centrale hanno causato un cambiamento significativo nella distribuzione dello stress in tutta la regione, con attività sismica fino alla Palestina».
Previsioni dei terremoti: a che punto siamo
«Sono molti gli sforzi che si stanno compiendo in molte discipline delle geoscienze nel cercare i precursori diagnostici che possano fornire informazioni sulla posizione, tempo e grandezza di un imminente evento sismico - spiega al Messaggero Francesca Gori, geologa e ricercatrice della Sapienza -. Anche perché questi processi che avvengono nella crosta terreste, anche se a profondità di decine di chilometri, rilasciano quantità di energia enormi. E devono essere per forza preceduti da segnali precursori identificabili in superficie. I principali progressi - continua - sono stati raggiunti osservando variazioni nelle sequenze di foreshocks, variazioni dei campi elettromagnetici e nella circolazione e nella chimica delle acque sotterranee».
L'area del terremoto
Lo sciame dei terremoti fra Turchia e Siria si è esteso verso Sud di almeno 50 chilometri, continuando a scivolare lungo la faglia Est Anatolica al confine fra Turchia e Siria. Le scosse si stanno propagando anche lungo la seconda faglia che si è attivata il 6 febbraio e si stanno estendendo a Nord-Est della città di Malatya. Sono queste le due faglie attualmente attive e che nell'arco delle ultime 12 ore hanno generato circa 400 repliche. Ad avere un quadro preciso dei danni aiuteranno le immagini dei satelliti, già acquisite. Resta da sempre una sorvegliata speciale la faglia Nord Anatolica, che arriva a lambire la città di Istanbul. Distante centinaia di chilometri dalle due faglie ora attive, quella Nord Anatolica dal 1939 ha generato sette grandi terremoti.
b3e6e4f31a9dd6b9fe5d4859f589727f80f4f70a
d2dcec30091df639b4c1978fe364972341345ef0

Legambiente: "Italia fuori rotta, incentiva auto a benzina anzichè elettriche"

Milano, 07.09.2021 huffpost - Per sostenere il mercato dell’auto abbiamo speso come la Germania ma ci troviamo con un parco macchine più ingombrante, più inquinante e meno elettrico della maggioranza dei Paesi europei. Cos’è che non ha funzionato? “Gli incentivi per le auto con la spina sono finiti, ma continuiamo a darne alle auto che l’Unione europea probabilmente metterà fuori mercato già tra 14 anni. Dal 25 agosto siamo l’unico Paese europeo a incentivare l’acquisto di auto benzina e diesel e non di quelle elettriche: premiamo chi compra macchine inquinanti”, risponde Andrea Poggio, responsabile mobilità di Legambiente. L’associazione ambientalista ha analizzato l’andamento del mercato dei sostegni di settore negli ultimi tre anni. Abbiamo speso più di 1,85 miliardi a fronte di 2,3 miliardi della Germania, una cifra analoga calcolando la differenza di popolazione. Ma, facendo i conti al 31 luglio, noi abbiamo 180.000 auto a batteria, i tedeschi hanno superato il milione, quasi 6 volte tanto. “Il punto non è quanto spendiamo, ma come spendiamo”, continua Poggio. “Le scelte italiane partono dal presupposto di voler sostenere le fasce economicamente più deboli incentivando l’acquisto di auto anche a benzina e diesel pur di svecchiare il parco. E’ un buon proposito, ma mal applicato. Gli incentivi alla rottamazione per le auto diesel e benzina non hanno aiutato le famiglie impoverite a cambiare auto, ma i più abbienti a comprarne di nuove. E non hanno neppure rilanciato il mercato, visto che si vendono il 19% di auto in meno rispetto al 2019”.
La pandemia ha contribuito a mandare in tilt la logica degli aiuti anche dal punto di vista dei mezzi pubblici. Per far presto è stata comprata una valanga di autobus alimentati con combustibili fossili. Un errore a cui ora si dovrebbe porre rimedio con gli acquisti resi possibili dai fondi del Next Generation Eu. La somma di questi fatti ha prodotto una serie di numeri sgradevoli. Nel 2020 le auto in circolazione sono diventate 300 mila in più e gli italiani 340 mila in meno (più morti, meno nati). Siamo arrivati a sfiorare i 40 milioni di auto ma ci sono solo 36 milioni di patenti. Abbiamo 67 auto ogni 100 abitanti, mentre le grandi capitali europee ne hanno la metà o anche meno.
Come rimediare? “Bisogna fare come in Francia: incentivare l’acquisto non di auto benzina o diesel nuove, che per chi ha pochi soldi restano comunque troppo costose, ma di auto di 3 o 4 anni. In questo modo è possibile creare un circuito virtuoso alimentato dagli acquisti aziendali. A patto di stimolare nel modo giusto anche questa fascia di mercato invertendo i pesi”, propone Poggio. “In Italia nel 2020 le nuove immatricolazioni sono state fatte per il 64% da privati, solo per il rimanente da aziende private o di noleggio a lungo e a breve termine. In Germania, Francia e Gran Bretagna invece le proporzioni sono rovesciate”.
L’obiettivo è riequilibrare la nostra posizione alimentando il mercato elettrico delle flotte aziendali che sono in grado di sostenere acquisti fortemente innovativi. Come ricaduta positiva, visto che le auto delle società di noleggio hanno una durata media di 3-4 anni, si otterrebbe un’offerta maggiore di auto di seconda mano relativamente nuove. Nel breve periodo queste auto usate sarebbero sempre alimentate a combustibili fossili, ma con un’efficienza decisamente migliore. Un sistema di bonus per questo tipo di acquisto riservato alle fasce economicamente più deboli potrebbe dunque chiudere il cerchio dando una forte spinta allo svecchiamento di un parco auto che oggi ha un’età media di 9 anni. “In questo modo si creerebbe una doppia spinta”, conclude Poggio. “Le aziende comprano auto elettriche perché, pianificando su un tempo più lungo, compensano il maggior onere di acquisto con i bassi costi di mantenimento di queste auto. Mentre la famiglia che non ha i soldi per comprare una macchina nuova si trova un incentivo robusto per comprarne una poco usata e poco inquinante. C’è un vantaggio sociale e c’è un vantaggio ambientale”.

La nuova isola più a Nord della Terra

Polo Nord, 28.08.2021 ilpost - È stata scoperta per caso da una missione scientifica danese e sembra essere il punto di terra emersa più vicino al Polo Nord. Un gruppo di scienziati di una missione danese in Groenlandia ha scoperto quello che si pensa essere il nuovo punto di terra emersa più a nord della Terra: una piccola isola che si trova circa 800 metri più a nord dell’isola che si credeva essere la più vicina al Polo Nord. La scoperta della nuova isola è stata fatta per caso, a luglio, durante una missione per raccogliere alcuni campioni. Il gruppo di scienziati stava cercando di raggiungere in elicottero l’isola di Oodaaq, scoperta nel 1978 e ritenuta fino a pochi giorni fa il punto più a nord della Terra. Dopo essere atterrati e aver verificato la loro posizione con sistemi satellitari, gli scienziati si sono però accorti di essere in un luogo diverso da quello che credevano e verifiche successive hanno mostrato che la nuova isola si trova quasi un chilometro più a nord di Oodaaq (che si trova a circa 700 chilometri di distanza dal Polo Nord). La nuova isola è lunga circa 60 metri, larga 30 e nel suo punto più alto arriva a circa 3 metri sopra il livello del mare: è fatta di fango e morena, i sedimenti di terra e roccia lasciati da un ghiacciaio. Rene Forsberg, professore dell’Istituto Spaziale danese, ha spiegato a Reuters che la nuova isola può effettivamente essere definita come tale perché è improbabile che possa essere completamente coperta dal mare ai cambiamenti di marea. Gli scienziati che l’hanno scoperto hanno chiesto che venga chiamata Qeqertaq Avannarleq, che in groenlandese significa “l’isola più a nord”.
La scoperta dell’isola è stata possibile per via dello spostamento di un ghiacciaio che la ricopriva, ma gli scienziati non ritengono che questo spostamento sia collegato ai mutamenti provocati dai cambiamenti climatici. Scientificamente, la scoperta non ha grande valore, anche se da tempo diverse spedizioni avevano cercato di trovare il punto più a nord dell’Artide: negli anni, diverse spedizioni hanno detto di aver individuato altre isole ritenute più a nord di Oodaaq, ma la questione è molto dibattuta anche per via della natura cangiante dell’area e per la definizione di Polo Nord. Qualcuno ritiene che anche l’isola di Oodaaq venga ciclicamente sommersa, mentre su altre scoperte in seguito non ci sono chiare informazioni.
Il Polo Nord non appartiene a un unico Stato e da tempo si discute e litiga su quale paese debba averne la sovranità. Stati Uniti, Russia, Canada, Norvegia e Danimarca ne possiedono delle parti ma la sovranità sulla maggior parte degli oltre quattro milioni di chilometri quadrati su cui si estende la regione non è ancora stata stabilita. Forsberg ha detto che la scoperta della nuova isola non avrà probabilmente effetti sulle pretese territoriali della Danimarca, poiché isole di queste dimensioni possono scomparire molto rapidamente.
e9e658a87c4429a2e8abeeb8b9c2c5c4dd8f800c
2c3eb87bef6688f47a3fea11dc9eea28a9704103

Un quinto dell'Italia a rischio desertificazione:
Sicilia, Molise e Basilicata le più colpite

Roma, 25.08.2021 ilgazzettino - In Italia ad oggi un quinto del territorio nazionale è a rischio desertificazione. «In Italia il 10% del territorio è molto vulnerabile. La Sicilia è la regione più colpita (42,9% della superficie regionale), seguita da Molise, Basilicata (24,4%) e dalla Sardegna (19,1%). Secondo il C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche), le aree a rischio sono il 70% in Sicilia, il 58% in Molise, il 57% in Puglia, il 55% in Basilicata, mentre in Sardegna, Marche, Emilia-Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania sono comprese tra il 30 e il 50%, dati che indicano che il 20% del territorio italiano è in pericolo di desertificazione». È quanto si legge nel dossier su incendi e desertificazione presentato oggi a Roma da 'Europa Verde' «Il cambiamento climatico, con siccità prolungate alternate a intense precipitazioni e aumento repentino delle temperature, sta letteralmente divorando il territorio - si legge nel dossier - innescando processi come l'erosione delle coste, la diminuzione della sostanza organica dei terreni (anche a seguito di pratiche agricole intensive) e la salinizzazione delle acque. Le cause del degrado dei suoli sono legate a diversi fattori, sia naturali che antropici. La desertificazione rappresenta il risultato finale di questo complesso sistema di interazioni che porta a pregiudicare, in modo pressoché irreversibile, la capacità produttiva degli ecosistemi naturali, agricoli e forestali». «I fattori determinanti - prosegue il Rapporto di Europa Verde - che possono condurre al degrado dei suoli sono in particolare: l'erosione, lo sfruttamento eccessivo delle falde idriche, gli effetti della compattazione, la conversione delle aree agricole dovuta all'urbanizzazione ed alle dinamiche di popolazione nelle aree costiere, la salinizzazione primaria e secondaria, l'impatto degli incendi forestali e dei disboscamenti, la perdita di suoli su detriti alluvionali recenti a causa dell'estrazione di sabbia e ghiaia».
8e35c462fd31c640605e948a733be0baf2fa3707

Il campo magnetico della Terra si sta indebolendo e gli scienziati non sanno perchè

Cape Canaveral, 23.08.2021 esquire - Senza il campo magnetico terrestre non potremmo vivere. Questa forza complessa e dinamica ci protegge dalle radiazioni che si trovano nello spazio e dai venti solari. A generarlo è il nucleo della Terra, a 3 mila chilometri sotto i nostri piedi, che come un conduttore genera correnti elettriche. Il problema è che negli ultimi 200 anni il campo magnetico ha perso circa il 9% della sua forza. La vasta regione più debole si trova l'Africa e il Sud America e viene spesso chiamata "Anomalia del Sud Atlantico".
Negli ultimi cinque anni, è emerso un secondo centro di minima intensità a sud-ovest dell'Africa, indicando che l'Anomalia del Sud Atlantico potrebbe dividersi in due celle separate.
Gli scienziati dello Swarm Data, Innovation and Science Cluster (DISC) stanno utilizzando i dati della costellazione di satelliti Swarm dell'ESA per comprendere meglio questa anomalia. Questi satelliti sono progettati per identificare e misurare con precisione i diversi segnali magnetici che compongono il campo terrestre.
Jürgen Matzka, del Centro di ricerca tedesco per le geoscienze, afferma: "Il nuovo minimo orientale dell'anomalia è apparso nell'ultimo decennio e negli ultimi anni si sta sviluppando vigorosamente. Siamo molto fortunati ad avere i satelliti Swarm in orbita per studiarne lo sviluppo. La sfida ora è comprendere i processi nel nucleo della Terra che guidano questi cambiamenti". 

Ecosistema a rischio per i roghi

Italia, 23.08.2021 cronachedi - I roghi tossici rappresentano un danno per l’intero ecosistema perché non solo rendono l’aria irrespirabile e ci costringono a rimanere chiusi in casa nonostante il gran caldo ma provocano gravi danni anche alla natura, ovviamente, agli animali e a tutto ciò che ci circonda. Gli incendi di oggi non sono quelli di ieri. Il riscaldamento del pianeta di fatto sta trasformando i roghi dei piromani, le fiamme appiccate intenzionalmente da piccoli o grandi interessi, le scintille dovuti all’incuria, in devastanti eventi estremi sempre più frequenti e violente: vere e proprie tempeste di fuoco fuori controllo.
Il ruolo delle api
Le fiamme artigliano, dilaniano distruggono in maniera inarrestabile ecosistemi di cui abbiamo bisogno per vivere, foreste che amiamo, animali che stanno scomparendo. E’ il caso delle api. Piccoli insetti che sono fondamentali per l’intero ecosistema. Le fiamme hanno distrutto gran parte del patrimonio naturale della Campania. Ma lo stesso vale per gran parte d’Italia, in questo periodo soprattutto la Sardegna è stata vittima di roghi. Incendi che hanno messo in ginocchio tantissime attività, compresa l’apicoltura. Per questo motivo Legambiente ha voluto lanciare una raccolta di fondi per coloro che sono stati maggiormente colpiti dai danni collegati agli incendi nel settore dell’apicoltura. Grazie ai fondi raccolti saranno donate arnie e sciami e verrano sostenuti i progetti degli apicoltori danneggiati dalle fiamme. L’obiettivo è far rinascere il territorio sostenendo chi ci vive e lavora, o vuole avviare una nuova attività, ricostruendo la biodiversità, di cui le api sono un fattore fondamentale.
Boom di incendi
Che siano dolosi o accidentali i grandi incendi in Italia sono cresciuti del 256% nell’estate 2021 con una escalation di fuoco che dalla Liguria alla Calabria, dalla Sardegna alla Puglia, dalla Sicilia alla Campania, dalla Basilicata all’Abruzzo, fino Marche, Molise e Toscana, costa all’Italia circa un miliardo di euro fra opere di spegnimento, bonifica e ricostruzione. E’ quanto emerge dall’analisi di Coldiretti su dati Effis rispetto alla media storica 2008-2020 in relazione ai violenti roghi che stanno devastando il Paese con decine di migliaia di ettari di boschi e macchia mediterranea inceneriti dalle fiamme, animali morti, alberi carbonizzati, oliveti e pascoli distrutti e fiamme che arrivano a lambire le città e la stessa riserva naturale di Castelporziano della Presidenza della Repubblica. Una situazione angosciante che l’Italia è costretta ad affrontare perché se da una parte 6 incendi su 10 sono di origine dolosa, con i piromani in azione, dall’altra per effetto della chiusura delle aziende agricole, la maggioranza dei boschi nazionali si trova senza sorveglianza per l’assenza di un agricoltore che possa gestirli.
d910216489749d444748ad81ac80fc19f55f5cb5

Clima Impazzito: Europa tra incendi e maltempo

Atene, 18.08.2021 euronews - In Grecia centinaia di vigili del fuoco hanno lottato per due giorni per contenere le fiamme che hanno colpito il nord-ovest di Atene, dove sono stati evacuati una casa di cura e diversi villaggi. L'incendio nella fitta foresta nell'area di Vilia è iniziato lunedì, poco dopo lo scoppio di un altro incendio a sud-est della capitale nell'area di Keratea. I due sono stati i più gravi tra le dozzine di incendi scoppiati quel giorno, hanno detto i vigili del fuoco. Il ministro greco per l'ordine pubblico, Michalis Chrysochoidis, ha detto martedì che la situazione a Vilia era in miglioramento nonostante una serie di riacutizzazioni e che l'incendio a Keratea è stato contenuto. Centinaia di incendi hanno bruciato in tutta la Grecia questo mese, alimentati dall'ondata di caldo più grave del paese degli ultimi decenni. Il caldo intenso e gli incendi hanno colpito anche altri paesi del Mediterraneo. In Francia le fiamme hanno colpito la Costa Azzurra. 
Gli incendi delle ultime settimane hanno ucciso almeno 75 persone in Algeria e 16 in Turchia. Fiamme anche negli Stati Uniti e nella regione della Siberia settentrionale della Russia.
Grecia - Martedì i vigili del fuoco greci hanno detto che 370 pompieri con 115 veicoli combattono l'incendio di Vilia, con il supporto fornito da 20 aerei e 12 elicotteri. Quest'incedio assieme a quello di Keratea ha divorato circa 5.000 ettari (12.400 acri) di foreste e terreni agricoli, principalmente nell'area di Vilia.I vigili del fuoco stanno cercando di contenere in un parco nazionale di Atene e sull'isola greca di Evia. Altri pompieri, tra cui 40 vigili del fuoco austriaci, stanno combattendo grandi incendi nella regione greca meridionale del Peloponneso.
Costa Azzurra - "Il peggio è stato evitato" nei boschi vicino Saint-Tropez in Costa Azzurra, dove le fiamme hanno costretto migliai di turisti ad evacuare. l'incendio non ha causato vittime, "ma la battaglia continua" dice Macron che si è recato sul posto. "Circa 750 vigili del fuoco stanno combattendo contro questo incendio che è ancora molto aggressivo", ha detto nel pomeriggio di martedì un portavoce dei vigili del fuoco del dipartimento del Var. Quasi 1.300 persone, per lo più vacanzieri di un campeggio, sono state accolte in una palestra a Bormes-les-Mimosas, località vicina a Fort Brégançon, residenza estiva del Capo dello Stato. Secondo i vigili del fuoco, l'incendio divampato lunedì in un'area di sosta autostradale, a circa un centinaio di chilometri a nord-est della città costiera di Tolone, si è esteso per 6.500 ettari di foresta e macchia in serata. "L'incendio è molto grande, è una lotta molto difficile", ha detto il comandante Delphine Vienco all'Afp, parlando di "condizioni sfavorevoli, con vento forte e temperature elevate". Il danno all'ambiente è significativo: "La riserva naturale della Plaine des Maures è stata semidistrutta. È un disastro, perché è uno degli ultimi luoghi in cui si trovano le tartarughe di Hermann", una specie protetta, ha spiegato Concha Agero, il vicedirettore dell'Ufficio francese per la biodiversità. Le evacuazioni di migliaia di persone sono avvenute nell'entroterra di Cavalaire e Saint-Tropez, ha affermato la comandante Vienco. La prefettura del Var ha anche confermato l'evacuazione di diversi campeggi e ha chiesto "di non ingombrare le strade intorno al Golfo di Saint-Tropez" per permettere ai soccorsi di operare senza problemi. Le persone evacuate sono sistemate in edifici comunali.
Penisola Iberica - Anche il Portogallo è stato colpito da un grave incendio scoppiato lunedì nella regione turistica dell'Algarve (sud), provocando feriti tra i vigili del fuoco e portando all'evacuazione di una dozzina di frazioni. In Spagna, l'incendio divampato sabato a Navalacruz, nei pressi di Avila (centro-ovest), resta "attivo" al "livello 2 di pericolosità", ma la sua evoluzione è ora considerata "favorevole", secondo le autorità della regione di Castiglia e Leon, mentre preoccupano i diversi roghi attivi nelle isole Canarie.
Austria e Germania - In Austria è stata la pioggia e il vento a causare danni. A Salisburgo, le strade e la rete ferroviaria del Pinzgau sono stati distrutti. Il torrente ha rotto gli argini per la terza volta in 3 giorni. E l'esercito è stato chiamato a rimuovere le macerie con mezzi pesanti.
Nel nord della Germania un tornado ha lasciato una scia di distruzione nella regione della Frisia orientale. Nel comune di Grossheide, nel Land della Bassa Sassonia, il tornado ha seriamente danneggiato una cinquantina di case, ribaltando veicoli e abbattendo alberi. La velocità del vento ha segnato fra i 180 e i 250 km orari. I vigili del fuoco hanno fatto fronte a un centinaio di interventi nel corso della notte. Nel bilancio, anche 5 edifici non più abitabili. Il sindaco della cittadina di 8.500 abitanti ha parlato di "situazione catastrofica". In Germania si verificano fra i 20 e i 60 tornado all'anno, ma raramente hanno la portata di quello che ha colpito la Frisia, che era di media potenza, stando agli esperti, e viene classificato come di categoria F2.
04c13f04e775c095535848ea0e8f2c5f9b808845

Incendi in Italia, è strage di animali

Roma, 11.08.2021 lastampa - Ricci, scoiattoli, cervi, caprioli, volpi, ghiri. E ancora: passeri, capinere, falchi, tartarughe, salamandre, lucertole. Sono stimati in oltre 20 milioni gli animali selvatici arsi vivi negli incendi boschivi che hanno colpito l'Italia, soprattutto al Sud, dall'inizio dell'estate. A morire accerchiati dalle fiamme, disorientati e intossicati dalle colonne grigie di fumo che ne impediscono la fuga, ci sono numeri impressionanti di mammiferi, uccelli e rettili. Per contare solo i vertebrati, ai quali vanno aggiunti milioni e milioni di invertebrati.
La stima - elaborata in esclusiva per LaPresse dal responsabile fauna di Legambiente Antonino Morabito - oscilla tra i 20 e i 24 milioni di animali selvatici morti ed è calcolata sulla base dei decessi per ettaro (10mila m2) di territorio bruciato: circa 100 mila ettari nei primi due mesi dell'estate. A morire soffocati e bruciati sono stati nelle ultime settimane circa 2 milioni di mammiferi, tra cui: caprioli, cervi, volpi, ricci, e roditori come scoiattoli e ghiri.
Oltre 2 milioni anche gli uccelli rimasti senza scampo tra le fiamme, in particolare tra le specie che nidificano negli arbusti, a cominciare dai piccoli passeriformi come la capinera e l'occhiocotto. Soprattutto i piccoli nati da pochi mesi. E i numeri salgono ancora quando si parla di anfibi e rettili. Circa 4 milioni i primi, tra cui la rana italica, tritoni, salamandre e molte specie endemiche. E addirittura 15 milioni i rettili: lucertole (alcune presenti solo in Sicilia e Sardegna) e serpenti, ma anche gechi e tartarughe.
«L'ecocidio - commenta Morabito - è tanto più grave quanto più è ampio il fronte dell'incendio e alto il numero degli habitat coinvolti come nel caso delle foreste vetuste. E soprattutto quando vengono accesi più focolai contemporaneamente e gli animali selvatici si ritrovano senza nessuna via di fuga, accerchiati prima dal fumo poi dalle fiamme». Troppo spesso questi animali non vengono presi in considerazione e conteggiati tra i danni devastanti degli incendi boschivi. «Parliamo invece di numeri altissimi e di perdite consistenti per la biodiversità e l'equilibrio degli ecosistemi. Tanto più - aggiunge l'esperto - che ad essere colpiti in queste settimane sono soprattutto i cuccioli che ancora si allontanano poco dalle tane o dai nidi».
Una strage che parte da lontano, si ripete drammaticamente ogni anno e che riguarda soprattutto il Sud. In Campania, Puglia, Calabria e Sicilia si concentra infatti il 55% degli incendi. Nel 2020, secondo i dati elaborati da Legambiente, gli incendi dolosi e colposi sono stati 4.233 e hanno toccato 62.260 ettari. E quest'anno le cose vanno anche peggio. Secondo i dati del Sistema europeo di monitoraggio, aggiornati all'8 agosto scorso, «nel 2021 - precisa Morabito - sono già 110 mila gli ettari andati in fumo. Di questi 100 mila sono terre siciliane, calabresi e sarde».
«La strage di animali selvatici morti bruciati negli incendi di questi giorni dà un'idea dell'entità del danno che questi rappresentano per la ricchezza della vita. Un danno che difficilmente si comprende quando si parla solo di alberi e di foreste». Lo dice a LaPresse il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi commentando le stime degli animali uccisi –. Pochi pensano che le foreste siano lo scrigno della ricchezza vitale indispensabile alla sopravvivenza di noi Sapiens. Un altro modo per capire la gravità del fenomeno è attribuire un prezzo a questi disastri. Parliamo di centinaia di milioni di euro tra servizi ecosistemici perduti, rischio idrogeologico incrementato e riforestazione».
cb8d955beb1724fde974e5ad10ce7897e0f0dd6a

La ricercatrice del Pacific Northwest National Lab, Claudia Tebaldi: Tutto ampiamente previsto, lo spiegai nel 2004 al Senato Americano,
Il Bacino del Mediterraneo è tra i più a rischio per i gas serra

Washington, 11.08.2021 affariitaliani - Il surriscaldamento del pianeta Terra è un tema non più rimandabile. La conferma arriva da una delle massime esperte del settore, la ricercatrice italiana Claudia Tebaldi, coautrice del sesto rapporto dell’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) e ricercatrice del Pacific Northwest National Lab, che vive negli Usa. È lì - si legge sul Corriere della Sera - che ha incontrato il suo «mentore», Jerry Meehl, con cui ha firmato il primo studio scientifico sulle onde di calore nel futuro e sulla correlazione con il riscaldamento globale, pubblicato su Science nel 2004. Studio che andò lei stessa a «spiegare» al Senato americano. "Avevamo previsto che questi eventi estremi sarebbero diventati più intensi, più frequenti, più lunghi. Certe regioni del pianeta si scaldano più della media, altre meno. Ad esempio, per 1° di riscaldamento globale, la superficie terrestre si riscalda di almeno 1,5° mentre l’oceano di circa 0,7°. E anche a livello terrestre, ci sono regioni che si riscaldano ad un tasso doppio, come le zone artiche, rispetto alla media. I modelli probabilistici dimostrano poi che con l’aumento medio delle temperature aumentano anche le probabilità di eventi estremi.
"Purtroppo - prosegue Tebaldi al Corriere - il bacino del Mediterraneo è sempre stato un hotspot, una parte del mondo in cui le proiezioni di siccità ad esempio sono molto consistenti e con essa tutti i problemi che state già sperimentando: ondate di calore, incendi, mancanza d’acqua. Sicuramente dobbiamo adattarci. Non posso affermare che ogni estate futura sarà drammatica come questa, proprio perché gli eventi estremi sono soggetti ad aspetti aleatori. Ma è certo che ogni incremento del riscaldamento globale aumenta la loro probabilità e la loro frequenza. È già sotto i nostri occhi. Bisogna riassorbire parte del gas serra, è l'unica soluzione".

Il mondo delle costruzioni investe sempre di più, obiettivo: tagliare le emissioni

Milano, 03.08.2021 adnkronos - Blackrock, servono 90 miliardi l’anno di investimenti fino al 2030 per centrare gli obiettivi Ue. Secondo le stime del fondo d’investimento americano Blackrock, per raggiungere l'obiettivo Ue di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 l’edilizia avrà bisogno di 90 miliardi annui di investimenti pubblici e privati. Come? Principalmente attraverso due modi: ridurre le emissioni e migliorare la produttività dell’edificio rispetto all’energia che utilizza. Ed entrambi presentano interessanti opportunità di investimento per gli investitori di lungo termine. Già oggi il settore delle costruzioni investe sempre di più in soluzioni low carbon per ridurre i consumi di energia e abbattere le emissioni di CO2.
Prima della pandemia, secondo le stime del World Green Building Council, gli edifici e il settore dell’edilizia erano responsabili del 39% di tutte le emissioni globali di anidride carbonica. Le emissioni di gestione, come l'energia utilizzata per riscaldare, raffreddare e illuminare gli edifici, pesavano per il 28%, mentre il restante 11% proveniva da emissioni di CO2 associate a materiali e processi di costruzione. L'inquinamento imputabile al comparto edile si sta però riducendo grazie all'impegno e agli investimenti in sostenibilità dei maggiori player del comparto. Per fare un esempio, tra il 2014 e il 2020 le attività del Gruppo Webuild nel mondo hanno registrato una riduzione del 56% delle emissioni di CO2 per effetto degli investimenti crescenti in soluzioni ‘taglia-emissioni’, in linea con il perseguimento dell’Sdg 13 delle Nazioni Unite (l’Obiettivo di sviluppo sostenibile relativo alle azioni per combattere il cambiamento climatico). Grazie a nuove soluzioni per abbattere i consumi, ricerca di materiali low carbon, strumenti avanzati di valutazione della carbon footprint e attività di formazione sul cambiamento climatico dedicate al personale dei cantieri, il piano Esg 2021-2023 di Webuild prevede di ottenere entro il 2022 una riduzione del 35% delle emissioni di gas serra da combustibili fossili ed energia elettrica. La riconversione per Webuild passa attraverso l'adozione di nastri trasportatori automatizzati per movimentare le terre senza ricorrere ai camion, l’applicazione nelle gallerie di sistemi di ventilazione ad alta efficienza e a minor consumo, l'uso del fotovoltaico e di mezzi ibridi. Il gruppo punta anche su campi logistici ecosostenibili, sistemi di telecontrollo delle acque e di manutenzione predittiva. Per quanto riguarda invece le talpe meccaniche, impegnate per esempio negli scavi dell'alta velocità Napoli-Bari, con l’ottimizzazione dei vari sistemi e dispositivi di bordo presentano oggi consumi energetici e idrici ridotti del 20 per cento rispetto al passato. I risultati prodotti dagli sforzi di Webuild nel campo della sostenibilità si possono toccare con mano. Il Ponte San Giorgio di Genova vanta il 100% di rifiuti di scavo riutilizzati e il 95% dei consumi energetici coperti da fonti rinnovabili. Per la pulizia dei pannelli fotovoltaici che alimentano la struttura, Webuild ha anche progettato un robot unico nel suo genere, denominato robot Wash, a ridotto consumo energetico. All'estero uno dei progetti gioiello di Webuild è il Sydney Metro Northwest, le cui caratteristiche assicurano una riduzione degli impatti ambientali dei materiali utilizzati del 33%. Premiato come progetto più sostenibile in Australia dalla rivista di settore Engineering News-Records, si distingue per esempio per la miscela all'avanguardia per la realizzazione delle travi, che permette di ridurre in maniera significativa le emissioni di CO2.

2a4aa956a00ac4e8bca1fdae641d711c0df86fcb.jpeg

Caldo nel Mediterraneo che brucia: le immagini dallo spazio sono apocalittiche

Mediterraneo, 03.08.2021 euractiv - È l’immagine del giorno quella catturata dalla missione Sentinel3 di Copernicus che mostra il Mediterraneo orientale rosso fuoco. Dopo Sardegna, Sicilia, Italia centrale e Spagna, anche la Turchia e la Grecia sono assediate dagli incendi.
I danni ambientali sono enormi ma si contano anche vittime tra gli esseri umani: sono almeno sette i morti in Turchia, che si sommano alle oltre 500 persone che hanno avuto bisogno di assistenza medica, e diversi sono i feriti anche nella zona del nordovest del Peloponneso in Grecia. La siccità e le temperature elevatissime fanno sì che gli incendi si propaghino e si estendano con una facilità devastante e rendono difficile domarli. Il meccanismo di protezione civile dell’Unione europea, con cui erano arrivati quattro Canadair in Sardegna, due dei quali proprio dalla Grecia, si è mobilitato anche l’aiuto per la Turchia: due Canadair dalla Spagna e uno dalla Croazia sono stati inviati nel Paese per combattere centinaia di incendi.
“L’Ue è in piena solidarietà con la Turchia in questo momento molto difficile(...) I nostri cuori vanno alla popolazione turca che ha perso i propri cari e ai coraggiosi primi soccorritori che stanno facendo del loro meglio per combattere incendi mortali”, ha detto il commissario Ue per la Gestione delle crisi Janez Lenarcic.

La Groenlandia sta sciogliendo: da martedì perse 8 miliardi di tonnellate di ghiaccio al giorno da ricoprire lo Stato della Florida

Groenlandia, 01.08.2021 lavocedinewyork - Un’ondata di caldo anomalo in Groenlandia, con temperature di oltre dieci gradi al di sopra delle medie stagionali, ha innescato negli ultimi giorni un “massiccio” scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia. L’allerta arriva dai glaciologi danesi.
Da mercoledì, la calotta glaciale che copre il vasto territorio artico ha perso ogni giorno circa 8 miliardi di tonnellate di ghiaccio, il doppio della media durante il periodo estivo (i dati sono di Polar Portal, uno strumento di modellazione gestito da istituti di ricerca locali). Si calcola che solo la quantità di ghiaccio che si è sciolta martedì sarebbe sufficiente a ricoprire l’intero Stato della Florida di 5 centimetri d’acqua.
La Groenlandia ha perso oltre 8,5 miliardi di tonnellate di superficie martedì e 18,4 miliardi da domenica fino a mercoledì, secondo l’Istituto Meteorologico danese. In realtà la perdita di superficie registrata negli ultimi giorni non è così pesante come quella notata nel 2019, la più pesante da quando si annotano questo genere di eventi, ma l’area di superficie che si è sciolta è più ampia.
Nel piccolo aeroporto di Nerlerit Inaat, il mercurio si è fermato a 23,4 gradi centigradi giovedì, il livello più alto mai registrato da quando la stazione meteo ha cominciato il servizio, comunque superiore alla temperatura massima registrata in Danimarca quel giorno. Questa ondata di calore, che ha interessato anche gran parte dell’immenso territorio artico, ha accelerato il ritmo di scioglimento della calotta; tanto che l’immenso volume di ghiacci disciolti “basterebbe a ricoprire con cinque centimetri d’acqua tutta la Florida”, rileva appunto Polar Portal.
Con una superficie di quasi 1,8 milioni di chilometri quadrati, la calotta glaciale che ricopre la Groenlandia preoccupa gli scienziati perché il riscaldamento nell’Artico è tre volte più veloce che nell’Antartide.
Lo scioglimento, iniziato diversi decenni fa, ha subito un’accelerazione dal 1990. Secondo uno studio europeo pubblicato a gennaio, lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia contribuirà all’innalzamento generale del livello del mare da 10 a 18 centimetri entro i 2100, a un ritmo del 60% più rapido rispetto alla stima precedente. Da notare infine che la calotta glaciale della Groenlandia contiene abbastanza ghiacci per sollevare gli oceani da 6 a 7 metri.
9687c98f2511c2d5cc1927196d0dde52dbbe27a3

La foresta amazzonica emette più CO2 di quanto riesca ad assorbirne

Amazzonia, 09.05.2021 esquire - Siamo abituati a pensare all'Amazzonia come al "polmone" del mondo. Una gigantesca (sei milioni e settecentomila chilometri quadrati) foresta densissima di vegetazione che consuma elevate quantità di anidride carbonica e le trasforma in ossigeno.
Da oggi questo processo vitale e incredibilmente prezioso, per la prima volta si è ribaltato. Uno studio pubblicato su Nature ha registrato che l'intera regione dal 2010 al 2019 ha emesso 16,6 miliardi di tonnellate di CO2 mentre ne ha assorbiti solo 13,9 miliardi. Praticamente ha rilasciato nell'atmosfera quasi il 20% di anidride carbonica in più nell'ultimo decennio di quanto ne abbia assorbita.
"Ce lo aspettavamo, ma è la prima volta che abbiamo dati che mostrano che l'Amazzonia brasiliana si è capovolta e ora è un emettitore netto", ha detto il coautore dello studio Jean-Pierre Wigneron, uno scienziato della France's National Institute for Agronomic Research.
Dall'insediamento di Bolsonaro il Brasile ha visto un forte calo nell'applicazione delle politiche di protezione ambientale. La deforestazione è aumentata di quattro volte nel 2019, rispetto a uno dei due anni precedenti. Sono stati tagliati 3,9 milioni di ettari di foresta, circa le dimensioni dei Paesi Bassi.
Ora che abbiamo ammalato anche il "polmone" terrestre siamo sempre più soli e combattere la crisi climatica (di cui siamo i responsabili).

© Notizie Internazionali